“Mikhalkov ha costruito il suo film sulla base di temi cecoviani raccolti attorno al Platonov, una commedia che lo scrittore ha composto quando aveva diciassette anni. L’inizio, anche se ben padroneggiato, annoia un po’: ci si dice che ancora una volta un cineasta sovietico ricopia con talento un classico russo. A che pro? Ma ben presto si libera, il teatro si cancella, la società zarista si mette in posa nel suo splendore, le sue lacerazioni, le sue vanità, i suoi dubbi e, come ci si aspetta da Čechov, nell’oscuro presentimento della sua caducità. Che un muzik possa suonare il pianoforte e un fatto proprio scandaloso, quasi una rivoluzione. Ma si trattava solo di una pianola meccanica. Nobiltà e borghesia restano cosi in equilibrio fra il no e il si, ciò che le nega e ciò che – ancora per un po’ – le rassicura, le conferma nella loro sovranità”. (Barthélemy Amengual)