Eva futura sul tappeto rosso
La “piccola” storia della Mostra ha incrociato a più riprese la grande Storia del Novecento, mescolandosi ad essa o riflettendone – come in uno specchio rovesciato – gli accadimenti, che non potevano non lasciare una qualche traccia sulla sua superficie apparentemente immacolata e brillante. I complicati intrecci con il regime nazi-fascista negli anni Trenta, l’epoca della ricostruzione nel secondo dopoguerra (fatta di esaltanti risultati artistici e meno gloriose vicende di piccolo cabotaggio burocratico), i fantasmi della Guerra Fredda che lambirono anche le calme acque della laguna, l’onda lunga della contestazione nata con il maggio ’68 e proseguita per un intero decennio, le polemiche politiche suscitate dalla Biennale del Dissenso nella seconda metà degli anni Settanta. E, poi, naturalmente, i riflessi profondi, pur se meno appariscenti, del cambiamento dei costumi, della morale, delle abitudini e dei comportamenti sociali che hanno caratterizzato le fasi diverse di una crescita del Paese, ancorché non lineare e progressiva, ma segnata da rapidi salti in avanti e brusche frenate all’indietro, che la Mostra non poteva non registrare come un attento sismografo.
Esistono anche altri modi per ripercorre gli ottantotto anni che ci separano dalla prima edizione della Mostra, quel lontano 1932 del cosiddetto Secolo Breve, che vanterebbe infiniti motivi per augurarsi di poter essere dimenticato. A noi, in questo caso, fa piacere ricordarlo perché, insieme alle molte cose belle che ci ha lasciato, c’è anche l’invenzione di quei grandi appuntamenti collettivi che sono i festival cinematografici dei quali la Mostra veneziana è stata il prototipo e il modello unico di riferimento, da copiare e imitare, con cui competere e gareggiare in un confronto per fortuna regolato da fair play e bon ton. Tra i tanti fili rossi che corrono lungo questa storia di successi, cadute e resurrezioni, ne abbiamo scelto uno per questa mostra temporanea a Forte Marghera, il cui titolo non lascia adito a interpretazioni incerte. Non c’è dubbio che la storia del cinema, sin dal momento in cui quest’ultimo abbandonò i panni della curiosità da baraccone per rivestire quelli di industria più fiorente della comunicazione e dell’intrattenimento di massa, questa stessa storia, dicevo, appare indelebilmente intrecciata con quella dei divi e delle divine che sono stati una delle principali attrattive per il pubblico di tutto il mondo.
Non a caso, inoltre, i primi divi furono per lo più figure femminili: il processo di trasformazione degli attori in star sembra infatti essere strettamente connesso alla femminilità e a quell’immagine di una Eva futura, nata dalla sintesi tra la figura della primadonna dell’opera e la rappresentazione femminile offerta dalla cultura europea del XIX secolo (in particolare in pittura, letteratura e poesia). Sostengono gli studiosi che le donne potevano essere divinizzate più facilmente degli uomini, in quanto incarnazione di alcuni dei temi fondamentali della cultura di massa, come l’aspirazione alla bellezza, alla giovinezza e alla ricerca dell’amore. Più facile e remunerativo, in virtù del fascino naturale di cui sono dotate, idealizzarle, modellarle su misura a seconda delle diverse esigenze, renderle meno reali e più astratte, più facilmente venerabili e venerate. Non a caso, nella liturgia dei festival – riti collettivi che da tempo hanno sostituito altre celebrazioni un tempo delegate a luoghi di lunga consuetudine socializzante come le parrocchie e i partiti – il tappeto rosso costituisce un momento centrale e imprescindibile, tanto da essere diventato pietra di paragone anche per chi non può permetterselo.
Concediamoci allora al piacere di ripercorrere, in un breve itinerario composto dalle 92 immagini provenienti dall’Archivio Storico della Biennale di Venezia – ASAC, la storia della Biennale Cinema attraverso il filtro di fascino e glamour offerto dai ritratti di alcune fra le tantissime Divine che hanno trasformato ogni anno, per dieci giorni, il tratto di strada che dall’Hotel Excelsior conduce al Palazzo del Cinema in una versione lagunare della Hollywood Walk of Fame di Los Angeles. In attesa che i riflettori si accendano sulla 77. edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, il primo festival dopo il lungo e doloroso periodo di chiusura che ha messo in ginocchio il mondo intero. La ripartenza inizia da Venezia, dove (quasi) tutto ha avuto inizio. La rinascita del cinema, che troppi hanno dato prematuramente per spacciato, anche.