Biennale Danza 2021: cento artisti per la direzione di Wayne McGregor
Dal 23 luglio all’1 agosto, in programma spettacoli dal vivo con coreografi e compagnie da tutto il mondo, installazioni all’insegna del multilinguismo, le nuove energie di Biennale College, le commissioni di nuova danza.
Biennale Danza 2021
First Sense
Tutto quello che si può fare con la danza e attraverso la danza oggi. Al suo primo anno di direzione, Wayne McGregor illumina con il 15. Festival Internazionale di Danza Contemporanea (23 luglio > 1 agosto) la complessità, l’ampiezza, la “trasformabilità” di una disciplina in continuo rinnovamento e che, in dialogo con il pensiero più avanzato, concorre agli sviluppi dell’arte contemporanea.
La mappa della Biennale Danza 2021 si articola in sette passi/tempi: gli spettacoli dal vivo con coreografi e compagnie da tutto il mondo, le installazioni all’insegna del multilinguismo, le nuove energie di Biennale College, la ricca produzione di opere filmate sulla e con la danza, le collaborazioni fra discipline in seno alla stessa Biennale, le conversazioni con gli artisti e le commissioni di nuova danza. 10 giorni di attività con oltre 100 artisti, tutte prime per l’Italia, due prime mondiali e una prima europea.
Live
Josef Nadj con otto danzatori provenienti da diversi Paesi dell’Africa; Hervé Koubi, coreografo franco-algerino con la sua compagnia multietnica e la vocalist ebreo-egiziana Natacha Atlas; Marco D’Agostin dall’Italia; le statunitensi Pam Tanowitz - danzatrice e coreografa - e Simone Dinnerstein, pianista, accompagnate dalla Pam Tanowitz Dance; Olivier de Sagazan, artista francese di Brazaville; la danzatrice basca Iratxe Ansa che con l’italiano Igor Bacovich forma Metamorphosis, di stanza a Madrid; Rone, campione della scena elettronica francese, insieme al collettivo artistico (La)Horde, con Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel da un anno alla testa del Ballet National de Marseille; Oona Doherty dall’Irlanda del Nord e Germaine Acogny dal Senegal. Sono gli artisti di una scena dal vivo senza confini, ricca delle forme e dei contenuti del mondo. Radicals, secondo McGregor, espressione di una danza dal segno incisivo che, attraversata dalle urgenze del mondo, parla al nostro tempo.
Sono Djino Alolo Sabin, Timothè Ballo, Abdel Kader Diop, Aïpeur Foundou, Bi Jean Ronsard Irié, Jean-Paul Mehansio, Marius Sawadogo, Boukson Séré - provenienti da Congo, Costa d’Avorio, Senegal, Mali, Burkina Faso: otto danzatori che con la ricchezza del loro diverso retroterra – fatto di danze, wrestling, rap, danza classica, discipline acrobatiche – innervano il “teatro del movimento” di Josef Nadj con nuova linfa. Tutto è materia di elaborazione per l’artista ungherese, una delle più sfaccettate personalità artistiche operanti sulla scena internazionale, che con il suo nuovo spettacolo, Omma, racconta una storia di condivisione e di trasmissione invitandoci ad “andare oltre il nostro sguardo per vedere meglio dentro noi stessi”.
Attinge al mosaico delle antiche culture mediterranee delle sue radici algerine Hervé Koubi: riti, melodie, storie, tradizioni che mixa in maniera spettacolare con il linguaggio della breakdance e dell’hip hop permeato dall’energia sensuale dei suoi 15 danzatori. Il ritorno alle origini coniugato con i nuovi saperi del corpo in un misto di appartenenza e sradicamento ispira anche il nuovo lavoro di Koubi, Odyssey. Il nuovo spettacolo celebra la femminilità nell’incontro con il maschile attraverso la partitura dei movimenti dei danzatori che si incontra con la partitura fusionale di suoni di Natacha Atlas, vocalist ebreo-egiziana della scena internazionale tra echi panetnici e il ritmo dell’elettronica europea.
Fra i nomi nuovi della scena italiana che come coreografo calca dal 2010, Marco D’Agostin è da allora presente con i suoi lavori in tutta Europa e nel 2018 ha vinto un premio Ubu come miglior performer under 35. Già presente alla scorsa Biennale Danza, D’Agostin ritorna quest’anno con Best Regards, un assolo nello spirito graffiante di Nigel Charnock cui è dedicato. Una lettera impossibile “a qualcuno che non risponderà mai”: al creatore, prematuramente scomparso, di veri e propri one-man show che esorbitano dai limiti della performance, in un impetuoso e sfrontato impasto di teatro, danza, cabaret politico.
Il rigore formale maturato da una lunga e costante riflessione sulla danza fa di Pam Tanowitz una delle massime coreografe del nuovo millennio, in repertorio nelle maggiori compagnie e per la prima volta in Italia alla Biennale. Con una conoscenza della danza a 360 gradi, che da Balanchine arriva a Cunningham via Viola Farber, la Tanowitz usa tutti gli strumenti che la danza passata e presente le offre per smontarne i meccanismi e ricrearli sotto nuove forme. New Work for Goldberg Variations – in prima europea per Venezia - nasce in tandem con la pianista Simone Dinnerstein: un nuovo lavoro su un pezzo che è stato terreno di sfida per musicisti e coreografi e dove ora le limpide architetture dei danzatori sembrano illuminare di nuova luce quel distillato di emozioni che sono le Variazioni Goldberg di Bach.
La danza come oggetto scenico è l’originale approccio del pittore, scultore, artista della performance Olivier de Sagazan. Del 2001 è Transfiguration – dove il corpo dell’artista trasfigura sotto strati di argilla - opera estrema in continua espansione che incrocia danza teatro e arti plastiche, rappresentata oltre 300 volte in 20 Paesi diversi e con oltre 6 milioni di visualizzazioni su YouTube. L’evoluzione dell’opera nell’ultima decade vede accentuarsi l’aspetto performativo: de Sagazan cambia prospettiva distribuendo la performance del funzionario in giacca e cravatta che si sfigura in una creatura mostruosa a sei danzatori. Nasce così un nuovo spettacolo, dove “l'effetto di gruppo, insieme al loro modo istintivo di muoversi conferisce a questi corpi mascherati una stranezza e una forza che non avrei mai immaginato. Vi ho visto l’embrione di dipinti impressionanti e nel tempo mi è diventato ovvio che avevo qualcosa da fare, come un pittore con i suoi colori e i suoi pennelli. Dipingere con corpi ricoperti di fango e che hanno l'aspetto di sculture” (O. de Sagazan). Di residenza in residenza diventa La Messe de l’Âne, che si rifà alla medievale festa dei folli, presentato in prima assoluta a Venezia.
È un “nudo d’artista” che si svela progressivamente agli occhi dello spettatore il lavoro firmato dalla basca Iratxe Ansa – artista indipendente dopo la scuola di Cranko e l’attività con le compagnie di Forsythe, Kylián, Duato, Ek, Naharin, McGregor, Pite – e dall’italiano Igor Bacovich, formato all’Accademia di Danza di Roma e poi al Codarts di Rotterdam. Al desnudo è un laboratorio dinamico che prende il via da un classico duetto per poi crescere in un limpido processo di decostruzione che mette a nudo trama e meccanismi della creazione nel suo stesso farsi. L’originale duo si amalgama alle note del Concerto n. 2 per violino di Philip Glass e delle musiche di Johan Wieslander, e alle luci e immagini, che sovrappongono live e pre-registrato, di Danilo Moroni.
Radicale è il grido di battaglia di Room with a View, firmato in coppia da Rone e (La)Horde. È il grido di rabbia e sofferenza di una generazione che al senso di catastrofe oppone la forza del gruppo con le sue lotte e i suoi conflitti, la violenza ma anche la vitalità della ribellione. Uno spettacolo travolgente e adrenalinico con corpi che volano, scossi dal pulsare dei suoni scolpiti dal compositore e producer Rone, attorno a cui si addensa l’orda di ravers, sopravvissuti al collasso della civiltà. Al centro una visione politica della danza che mette in primo piano forme coreografiche della rivolta popolare - dai rave al ballo tradizionale ai jumpstyle di internet – nutrita del pensiero di Alain Damasio, scrittore di fantascienza, e la sua guerra dell’immaginario.
Una “danza fuori dalle regole” nei temi e nei modi è quella di Oona Doherty, nome nuovo della danza europea e Leone d’Argento di questa edizione del Festival, a Venezia con Hard to be Soft – A Belfast Prayer. Non ortodossa è la scelta di mettere in scena lo spaccato di una comunità, quella della sua infanzia a Belfast, con i suoi orizzonti limitati da imposizioni culturali, sociali, religiose. Delle classi lavoratrici, praticamente assenti dai palcoscenici della danza, la Doherty coglie la dimensione quotidiana, la loro violenza e vulnerabilità, i tic, gli stereotipi e i vizi, ma anche il coraggio, la forza e l’energia.
Somewhere at the Beginning è l’assolo in cui Germaine Acogny, pioniera della danza contemporanea africana e Leone d’Oro alla carriera del Festival, fa i conti con il proprio passato, quelle radici che sono il punto di partenza di tutta la nostra vita, e che si incarnano nelle figure arcaiche che l’accompagnano. Partita dall’Africa, esule in Europa e poi di ritorno alla sua terra d’origine, lo spettacolo della Acogny è anche un dialogo tra l’Occidente e il continente africano, sulla ricerca di identità che non è mai qualcosa di dato o di acquisito. Il regista franco-tedesco Mikaël Serre sceglie di rendere questo gioco della memoria attraverso l’intimità, evitando le semplificazioni dell’ideologia.
Installazioni
Mikhail Baryshnikov e Jan Fabre, Wilkie Branson, Random International e lo stesso Wayne McGregor, “artisti che lavorano nelle intersezioni tra corpo, tecnologia, cinema, realtà virtuale e/o aumentata, intelligenza artificiale, scienza”, firmano tre opere installative sperimentali che saranno visibili lungo tutto l’arco del Festival.
Concepito come “un’installazione d’arte con film”, Not Once – che debutterà in prima europea alla Biennale - vede riuniti per la prima volta due artisti totali come Mikhail Baryshnikov e Jan Fabre, che insieme hanno lavorato 4 anni per poter completare l’opera. L'artista britannico Phil Griffin ha preso parte come coregista alla realizzazione del film. Basato su un monologo scritto da Fabre e interpretato da Baryshnikov, Not Once svela - attraverso undici stanze immaginarie di una mostra fotografica - il rapporto platonico tra il soggetto e una fotografa che, per anni, ne ha manipolato il corpo e lo ha rielaborato in diverse entità. Il lavoro multimediale è concepito per il cinema ed esplora le relazioni tra un artista, il suo lavoro e la vita, il suo pubblico e, in definitiva, l'equilibrio tra dare e ricevere - tra dipendenza e indipendenza.
È definito “opera di danza cinematografica animata digitalmente” il pluripremiato Tom di Wilkie Branson, che fonde il linguaggio del b-boying con tecnologie all’avanguardia – animazione digitale, projection mapping, surround, modelli 3d fatti a mano, tecniche di fotogrammetria, sistemi di chroma key capture – riuscendo a veicolare una storia emotivamente potente attraverso immagini sbalorditive. Tom è soprattutto, un lavoro sulla tristezza, la solitudine, l’isolamento: è il racconto del viaggio di un uomo, interiore e reale al tempo stesso, che presta il suo volto illeggibile a una fila di uomini chiusi nella stessa carrozza di un treno con la stessa imperturbabilità. Un viaggio alla ricerca di sé, tra angoscia, desiderio, nostalgia, illusione.
Future Self è una “scultura luminosa vivente” che si anima al movimento dei ballerini, come dei visitatori, attraverso 3 videocamere in 3d che catturano le forme e le rispecchiano su un reticolo di alluminio composto da 10.000 led che emettono luce in tutte le direzioni. Frutto delle ricerche di Hannes Koch e Florian Ortkrass che nel 2005 fondano il collettivo artistico Random International, attivando collaborazioni attorno a progetti sperimentali. Per il debutto Random coinvolge Wayne McGregor con la sua compagnia e il compositore Max Richter.
Biennale College Danza
“Se la nostra stagione live costituisce il cuore della Biennale, il College è la nostra linfa vitale”, afferma Wayne McGregor. Il bando lanciato a gennaio ha raccolto nell’arco di un mese 489 adesioni da tutti i continenti: 249 dall’Italia e 240 dall’estero (49 le nazionalità di provenienza).
Sono 22 i danzatori selezionati: Chiara Quintili, Viola Busi, Rebecca Bendinelli, Winnie Asawakanjanakit, Cathy Grealish, Matchima Josephine Flos, Andrea Scarfi, Yael Fischer, Toni Flego, Salvatore De Simone, Mattia Sala, Giacomo De Luca, Luca Cappai, Albert Carol, Cathy Grealish, Vilim Poljanec, William Wright-Neblett, Gioele Cosentino, Isabel Le Cras, Jordaine Lincoln, Giacomo Prencipe, Rossella Russolo. Con loro, i danzatori-coreografi: Yuexuan Gui, Bianca Bor, Raymond Pinto, Shaquelle Charles, Taliha Abdiel, Mounir Ali. Saranno tutti in residenza supportata dalla Biennale di Venezia per tre mesi, da maggio a luglio, impegnati in due percorsi tecnici, creativi e performativi, in larga parte condivisi, che si concluderanno con la presentazione sul palcoscenico del 15. Festival Internazionale di Danza Contemporanea di un duplice programma: opere dal repertorio di Wayne McGregor (Far) e Crystal Pite (Solo Echo) e cinque brevi coreografie originali (ca. 15’).
Nei primi dieci giorni i due percorsi confluiscono, sotto la guida di McGregor, sul Physical Thinking (o intelligenza cinestetica), da sempre oggetto di attenzione e studio da parte del coreografo britannico, indagato attraverso la pratica coreografica e performativa. Un modo per costruire le capacità collaborative del gruppo e condividere tecniche per la generazione di materiale di danza e composizione coreografica.
Gli artisti selezionati saranno poi impegnati in sessioni quotidiane dedicate a tecniche di danza classica e contemporanea con maestri di livello internazionale; sessioni di approfondimento del mondo creativo e del repertorio dello stesso McGregor e di un altro importante nome della coreografia contemporanea, Crystal Pite. Un modo per conoscere il lavoro dall’interno insieme ai suoi stessi artefici, smontando nei suoi elementi essenziali una coreografia per conoscerne i meccanismi dall’interno.
Sessioni specifiche saranno poi dedicate alla creazione individuale dei danzatori-coreografi, impegnati in un breve lavoro coreografico concepito in stretta collaborazione con gli stessi danzatori del College.
Gli aspetti più prettamente estetici saranno, infine, integrati da quelle conoscenze pratiche che contribuiscono alla comprensione di cosa significhi prepararsi a essere un professionista a tutto campo oggi – dal funzionamento del mercato della danza alla costruzione di un portfolio da inviare a promoter e produttori, dal potere psicologico all’autostima.
Collaborazioni
Dall’uomo vitruviano, misura ideale di tutte le cose, al danzatore contemporaneo, soggetto e oggetto di saperi sempre più integrati, la danza trova nell’architettura un terreno naturale di dialogo. Così, quest’anno, il 15. Festival Internazionale di Danza Contemporanea incrocerà luoghi e tempi della 17. Mostra Internazionale di Architettura. Con le stesse installazioni Not Once, Tom e Future Self che saranno ospitate all’interno della Mostra per tutto il periodo del Festival sotto il titolo Embodied Action. E con i danzatori-coreografi di Biennale College, che – sotto la guida di Wayne McGregor - daranno vita a brevi frammenti coreografici, “istantanee” o “schizzi” sollecitati da segni, materiali, contenuti e temi della 17. Mostra. Le loro performance soliste – Solos in Architecture Biennale - saranno presentate all’Arsenale nella sezione della Mostra intitolata Amongst Diverse Beings.
Scrive McGregor: “Per quanto diverse e sorprendenti nella loro specifica espansione del corpo come spazio, dello spazio come corpo, le tre installazioni parlano tutte del problema centrale How will we live together? Come vivremo insieme; interazione, dialogo, condivisione e connessione – comunicazione come cuore della nostra esperienza, fondamentale bisogno umano. L’interazione dinamica tra le nostre motivazioni, quello che intendiamo esprimere e scambiare, con che efficacia lo realizziamo e come ‘leggiamo’ e rispondiamo gli impulsi degli altri è una comunicazione che passa prima di tutto attraverso e con il corpo. Oggi, la comprensione che abbiamo del nostro corpo e del corpo degli altri esplode in dimensioni molteplici, si confonde con quello che era considerato il suo ambiente esterno, aumenta in una miriade di modalità sorprendenti che alterano la percezione. Stiamo imparando a comunicare di nuovo. E così anche la danza, la forma d'arte in cui l'azione incarnata e l'empatia fisica parlano oltre i confini e spesso di verità universali”.
Film
Due giorni per una non-stop di proiezioni video-cinematografiche di ogni genere, misura e formato: documentari, videoclip, microfilm, tutto quanto sia danza “sul film e nel film, una potente forza artistica e sociale” (W. McGregor). Un connubio antico, quello tra cinema e danza, oggi in piena espansione, che ha trovato nei canali web e nei social il suo massimo amplificatore e soggetto a una continua evoluzione accelerata dalle tecnologie smart. “Dalle nuove entusiasmanti forme di animazione ai documentari personali, la gamma e l'ampiezza dei lavori sono sorprendenti. Allo stesso modo, una nuova generazione di registi di danza sta creando opere sul proprio i-phone, in modo intelligente e veloce” – osserva McGregor.
Sarà un settore da esplorare con lo sguardo rivolto al futuro: partendo dai contributi filmati degli artisti invitati al Festival che meglio delineano il loro lavoro, passando attraverso opere di registi affermati per arrivare a visioni sperimentali ancora artigianali.
Conversazioni
Innescare un rapporto aperto alla conoscenza e al confronto in presa diretta, anche con un pubblico consapevole, sensibile alla ricerca dei diversi linguaggi espressivi. A questo proposito il Festival propone conversazioni post spettacolo con gli artisti protagonisti. Un puzzle di visioni, racconti, saperi attraverso la presenza di straordinari artisti della danza. A guidarci nel mondo poetico di tanti autori sarà lo stesso direttore della Biennale Danza Wayne McGregor, coadiuvato in parte dalla saggista e critico di danza Elisa Guzzo Vaccarino, in parte dai giovani studiosi di Biennale College ASAC - Scrivere in residenza.
Un altro racconto per immagini sarà quello della fotografa Indigo Lewin, giovane artista londinese con studi a New York, autrice di originali ritratti /collage che incrociano i diversi media. Come in QuaranZine, un diario intimo e visivo che assembla momenti prima e dopo il lockdown. Indigo Lewin sarà in residenza lungo tutto l’arco del Festival per coglierne istantanee, dettagli, umori dietro le quinte. Immagini che saranno proposte in una mostra alla Biennale Danza 2022.
Commissioni
Un progetto sulla contemporaneità con due programmi pluriennali di commissioni.
Il primo destina risorse al Leone d’Argento, nominato annualmente, contribuendo alla realizzazione di una produzione futura. Il secondo commissiona ogni anno una creazione autonoma destinata agli artisti italiani, che diventerà un progetto a più voci sulla nuova danza italiana. Compagnie di danza e/o coreografi e coreografe italiani potranno fare domanda a partire da maggio, quando verrà lanciato un bando specifico. Nel corso del Festival verrà nominato il vincitore della commissione per una creazione originale che verrà presentata alla Biennale Danza 2022. Affinché la nuova creazione trovi strumenti, spazi e tempi necessari, l’impegno della Biennale Danza sarà non solo economico ma anche artistico.
Ringraziamenti
Si ringraziano il Ministero della Cultura per il suo importante contributo e la Regione del Veneto per il sostegno accordato ai programmi del Settore Danza della Biennale di Venezia.
Si avvia da quest'anno la collaborazione con Bottega Veneta - azienda dall'innovativo carattere artigiano radicata nella cultura italiana ma con una visione globale - che sotto la direzione creativa Daniel Lee affiancherà per il prossimo biennio come Main Sponsor le attività della Biennale Danza e di Biennale College Danza.
Media partner dei Settori Danza, Musica e Teatro è Rai Cultura, con il suo portale web e il canale Rai5, seguirà gli appuntamenti della Biennale di Venezia per il 2021. Rai Radio3 sarà media partner del Settore Musica.