It don’t mean a thing,
if it ain’t got that swing.
Duke Ellington
La Costa d’Avorio è una parte dell’Africa, a sua volta parte del mondo. Fin dall’indipendenza la sua identità si è fondata su un panafricanismo acquisito e allargato. A Venezia, questa lingua comune è l’arte, che ogni gruppo o individuo adatta attraverso forme idiomatiche non sempre facili da tradurre, ma che possono essere comprese nelle loro singolarità. Questo è il linguaggio che la creazione artistica cerca di catturare, nel suo tentativo di esprimere l’indicibile.
Gli africani deportati nelle Americhe e altrove hanno disperato quando hanno capito che la strada del ritorno gli era preclusa per sempre? Forse. Ma hanno trasformato la disperazione e la perdita della “lingua madre” in un atto di assoluta resilienza: la blue note, che ha permesso loro di esprimere un particolare colore che mancava al sistema occidentale. È ciò che ci permette di cantare la solitudine e la fatica della vita, ma anche la speranza. È la nota che ha permesso agli africani di sopravvivere e vivere.
Nella nostra epoca, dove l’Altro è emarginato in ogni luogo, è questa forza impetuosa e inalienabile, questa lotta inalterata per la speranza che intendiamo promuovere attraverso il padiglione ivoriano.