Sono rimasto affascinato dall’illusione di un uomo che, morendo, lasciava il proprio testamento su pellicola. E così, poiché i miei film iniziano sempre con le mie fantasie, è nata l’idea di un nuovo film. Mi viene talvolta chiesto da dove provenga una tale idea o un tale concetto. A una domanda del genere è però impossibile rispondere. Per me è semplicemente questione di vedere o sentire un miraggio, una fantasia che all’improvviso affiora alla superficie della mia mente. Se c’è una cosa che posso affermare con certezza, però, è che è perché vedo i miraggi e ascolto le loro voci che sono un regista. [...] l’illusione che ho vissuto [...] è legata al profondo interesse che ho nutrito per lo scontro mortale lanciato dalle varie sette del movimento studentesco per impedire al primo ministro Satō di visitare gli Stati Uniti nel 1969 [...]. Ho anch’io vagato tra le manifestazioni all’aeroporto di Haneda, portando una macchina fotografica e filmando quello che potevo, ma, ovviamente, non sono morto. Per me, la domanda su come morire negli anni Settanta è una risposta alla domanda su come vivere.