Ho conosciuto Carlo Mazzacurati quando abbiamo fatto parte della redazione di Babilonia, trasmissione di Canale 5. Che avesse un grandissimo talento si capiva subito, in più era molto simpatico, colto e divertente, doti spesso nascoste dalla timidezza. Ho iniziato a seguire il suo lavoro e ciò che mi ha veramente commosso è stato assistere allo straordinario percorso di un autore capace di rivelare con immagini e parole l’amore e il rispetto per il cinema e per gli esseri umani.
Mario Canale
Erano gli anni ‘70. Ho conosciuto Carlo al Cinema1, una piccola sala di Padova. Nelle discussioni che duravano ore si parlava tanto, di tutto, ma soprattutto di film e di libri. C’è stata l’ubriacatura degli scrittori americani: Chandler e Cain, John O’Hara, Truman Capote, John Cheever. Poi gli outsider: “Il biglietto stellato” di Aksionov e “Famose patate” di Joe Cottonwood o “Il ballo dei pescicani” di Pomini. E naturalmente i mitteleuropei, Roth e affini. Poi arrivò la riscoperta degli autori veneti: Meneghello, Rigoni Stern, Zanzotto, Parise... La folgorazione del “Ragazzo morto e le comete” e “Il prete bello” che poi, anni dopo, avremmo fatto diventare film.
Anni ‘70 a Padova. Era bello, ma non era semplice. Bastava avere i capelli lunghi e una R4 e si veniva fermati da polizia e carabinieri. E Carlo aveva una R4 e i capelli lunghi. Sembrava il fratello più grosso di Björn Borg. Biondo, occhi azzurri, barba chiara sul mento, capelli sulle spalle: una bellezza un po’ svedese. Poi arrivò il momento di mettersi alla prova, vedere se le nostre passioni potevano diventare un mestiere. Come nel finale de I vitelloni, addio alla provincia. Una nuova città: Roma.
Enzo Monteleone