How Did I Die è la ricostruzione, condotta attraverso il corpo e grazie a una catena di associazioni, di un omicidio, perlopiù inscenata a ritroso. Una giovane ragazza viene assassinata e lo spettatore è il detective. Il pubblico assiste alle ultime ore della vittima – in sequenze ricostruite dal vivo da attori – riprodotte e riavvolte, come se guardasse dei video che, di fatto, ne costituiscono le prove. Attraverso il costante inserimento di nuovi, piccoli cambiamenti negli eventi ripetuti, si genera una gamma di possibili assassini e moventi, di fronte ai quali lo spettatore è costretto ad assumere il ruolo del detective. Perché l’amica della ragazza è dovuta partire all’improvviso? Dov’è la tazza su cui potrebbero esserci tracce di DNA? Cerco di giocare con la percezione dello spettatore lavorando sulle convenzioni del cinema poliziesco e con la possibilità di riprodurre e riavvolgere il video. La ricostruzione avvicina lo spettatore alla verità o è fuorviante? How Did I Die è essenzialmente incentrato su come si costruisce “la verità” e sulle variabili che possono influire su tale costruzione.
Per approfondire queste domande, ho osservato il reparto di polizia scientifica di Amsterdam al lavoro e il modo in cui i media hanno trattato casi importanti come quello di Amanda Knox e Joran van der Sloot. Le ricerche hanno continuato a rivelare il bisogno delle persone di inventare una narrativa che dia un senso alle cose che non capiscono. Una narrativa con una causa, un effetto e una conclusione logica. Questo bisogno, tuttavia, è in contrasto con ciò che la vita è realmente: caotica e incomprensibile.
How Did I Die esplora il conflitto tra tale desiderio e la dura realtà.