Tra le poche artiste italiane a confrontarsi con la Poesia Concreta, Giovanna Sandri è senza dubbio la più sperimentale. Fin dagli anni Sessanta, il suo metodo sfida la tradizionale linearità del testo poetico riconoscendo alle sue componenti – parole, lettere, sillabe – un valore estetico equivalente, se non superiore, al loro significato. Ispirandosi alla grafica pubblicitaria, l’artista permette al testo di diventare un rompicapo, o un gioco enigmistico. Non a caso Sandri chiama molti dei suoi lavori Costellazioni, suggerendo un parallelismo tra la poesia e l’osservazione astronomica. La libertà con cui l’artista scala, taglia, movimenta, inclina e piega il singolo grafema ricorda quella che i futuristi utilizzavano per le loro parolibere, ma raggiunge risultati tanto esasperati da creare una vertigine nell’occhio dello spettatore e rendere vano qualsiasi tentativo di lettura lineare. Dopo la prima raccolta editoriale intitolata Capitolo zero (1968) e le tante Costellazioni realizzate negli anni Settanta, la ricerca di Sandri sembra avvicinarsi alle sperimentazioni italiane nell’ambito della Poesia Visiva ma, a differenza delle colleghe che prendono la componente visuale delle loro poesie da giornali e riviste, l’artista non rinuncia al concretismo dei suoi caratteri trasferibili e li usa per formare immagini monocrome, geometriche e dai confini netti. Il lavoro di Sandri investe il testo di una fisicità che risulta preziosa sia in termini visivi sia di contenuto.
Stefano Mudu