Difficile ricondurre la pratica artistica di Mina Loy a un’unica matrice stilistica. Il suo girovagare tra Europa e America rende il suo stile alternativamente futurista, dadaista o surrealista. Come dimostrano la raccolta di poesie Aphorisms on Futurism (1914) e la celebre lettera conosciuta come Feminist Manifesto (1914), l’artista sembra adottare le stesse “parole in libertà” dell’avanguardia italiana. Contrariamente agli esponenti del gruppo di Marinetti, tuttavia, Loy concepisce i suoi scritti come messaggi per un pubblico femminile, che invita all’emancipazione intellettuale, sentimentale e sessuale. Stabilitasi oltreoceano, Loy si dedica a un approccio artistico singolare che, pur vicino alle tecniche dadaiste, raggiunge forti esiti surrealisti. Househunting (1950 ca.) conferisce un nuovo spessore al femminismo manifestato negli Aphorisms. Come fosse la rappresentazione visiva di un verso scritto trent’anni prima – “Forget that you live in houses, that you may live in yourself” (Dimentica di vivere in una casa, che tu possa vivere in te stessa) – l’opera consiste nell’assemblage di materiali differenti e presenta la sagoma di una donna che, circondata dalle immagini di dieci architetture, indossa un copricapo riempito con una teiera, un gomitolo di lana, del cibo e dei panni stesi. Se è chiaro che la rappresentazione di questi ultimi sia un riferimento agli stereotipi che impediscono l’indipendenza della donna, il contesto da cui è circondata allude a una libertà di tipo opposto e sembra descrivere lo spirito moderno che guida la sua autrice.
Stefano Mudu