Durante l’inaugurazione di una mostra di pittura futurista alla Galerie Georges Giroux di Bruxelles nel 1912, Valentine de Saint-Point recita il suo Manifeste de la Femme futuriste, in risposta alla risaputa misoginia del movimento: la declamazione assume i toni di una feroce invettiva contro il femminismo di quegli anni, un’accusa a tutte quelle donne che, definite con disprezzo “femmine”, rifiutano di adottare un comportamento virile, violento e crudele per rendersi intellettualmente indipendenti. Coerente con i contenuti di questo discorso, che saranno poi ribaditi nel Manifeste futuriste de la luxure (1913), la stessa de Saint-Point conduce una vita assolutamente irrequieta e appare come una donna tanto provocante quanto impegnata in una carriera artistica versatile. Nel 1914 si dedica completamente alla danza e propone una nuova forma di espressione coreutica che definisce Métachorie – dal greco “oltre il coro”, che alterna il movimento alla declamazione di componimenti poetici, insieme all’uso di proiezioni e profumi; una serie di incisioni su fondo nero ritrae proprio queste pose e, con veloci segni graffiati, documenta l’atmosfera mistica della scena. Ampiamente criticata dagli ex colleghi futuristi, si trasferisce in Egitto, aderisce al Sufismo e muore al Cairo nel 1953, sola e dimenticata.
Stefano Mudu