Un’intensa attività artistica e teorica caratterizza la carriera di Gino Severini che dalla pittura futurista approda al Cubismo sintetico, per poi giungere a una rinnovata classicità, sullo sfondo di un costante dialogo tra l’Italia e la Francia. Nel 1918 Severini dipinge l’opera Natura morta, che successivamente entra a fare parte della collezione Léonce Rosenberg, promotore del gruppo cubista. Il dipinto si colloca all’interno del dibattito teorico che avvicina l’arte di Severini agli esiti del Cubismo sintetico. La ricerca dell’artista è volta a indagare lo spazio pittorico come visione in grado di coniugare la dinamicità della linea con un rigoroso canone compositivo. La risposta è nella creazione di un assetto visivo che affida alla geometria il principio e la misura dell’organizzazione spaziale degli oggetti. Il dialogo che ne scaturisce descrive una pittura strutturata in un perfetto equilibrio tra l’espressività del colore, la sensibilità della percezione e il rigore della forma che raffigura per contrasto il profilo degli elementi pittorici.
Il principio estetico adottato da Severini è interpretato come una sintesi degli oggetti nello spazio e nel tempo, capace di originare immagini che nell’opera si traducono in legge armonica.
—Sonia Zampini