Quando sono stata per la prima volta nella comunità mineraria di Lightning Ridge alcuni anni fa, mi sono ritrovata in un mondo selvaggio: disadattati, solitari e sognatori riuniti dalla speranza di fare fortuna con le gemme preziose. Il tempo rallentava, mentre una birra dopo l’altra andava giù in quelle calde giornate secche. Un’ultima frontiera nel mezzo del nulla, un palcoscenico ossessionante per lo svolgersi di una storia. Ho pensato alla promessa della fuga e al ritrovarsi perduti. Ho voluto raccontare la storia di tre persone sole che stanno a galla in questo microcosmo eccezionale con i suoi ideali e le sue regole, circondato da vaste distese di boscaglia. Una figlia, isolata e con una grande forza di volontà, vuole conoscere il padre prima che muoia e lo raggiunge lì, per la prima volta. Il padre è a pezzi a causa del passato che si è lasciato alle spalle. Un misterioso minatore rimane coinvolto in una brevissima storia d’amore, nonostante la sua scelta di una vita appartata. I personaggi cercano un legame tra di loro, ma si sentono fatti a pezzi da se stessi e dal mondo che li circonda. Fanno fatica a trovare le parole da dire. Sono sentimenti che conosco, io, un essere umano sopraffatto in un mondo governato dall’implacabile velocità del progresso. La storia raccontata nel film è inventata, ma è anche una testimonianza di un luogo al quale mi sono affezionata e di un modo di vivere che mi ha incantato. Ho lavorato per ottenere immagini che trasmettessero la magia languida e la malinconia che ho sentito nei miei viaggi.