Usa / 113’
lingua Inglese, Spagnolo
sceneggiatura, fotografia e suono Jon Alpert
montaggio David Meneses
Usa / 113’
lingua Inglese, Spagnolo
sceneggiatura, fotografia e suono Jon Alpert
montaggio David Meneses
Dal 1959, quando Fidel Castro salì al potere nella rivoluzione che segnò un’epoca, nessuno ha mai esplorato Cuba tanto a fondo quanto Jon Alpert. Il cineasta cominciò a filmare nella Cuba di Castro nel 1972, rimasto affascinato anni prima dal paese, dalla sua gente e dalla sua cultura. Alpert portò con sé una piccola troupe e una telecamera portatile, cominciando un’affascinante, intima, decennale cronaca del paese comunista situato a novanta miglia dalla costa della Florida, nemico politico di vecchia data, ma mistero per gran parte del mondo. Risultato da più di mille ore di girato in oltre quaranticinque anni, Alpert segue tre famiglie e Fidel Castro. Era lì a documentare il socialismo pieno di speranze della Cuba dei primi anni settanta, e l’Esodo di Mariel del 1979. Poi tornò per documentare gli stenti degli anni ottanta; lo straziante “Periodo Speciale” successivo alla caduta dell’Unione Sovietica, quando Cuba restò letteralmente al buio. Cuba and the Cameraman è Castro in persona, con la guardia abbassata, spontaneo e senza censure. Nel corso delle numerose interviste esclusive davanti alla telecamera, il rivoluzionario mastica-sigari chiamava affettuosamente lo schietto Alpert “Il Giornalista” e mostrava un lato di sé mai visto pubblicamente. Alpert è stato uno degli ultimi americani ad aver visto Castro prima della sua morte. Cuba and the Cameraman cattura l’anima di una nazione e del suo popolo, e un lato sconosciuto dell’uomo che l’ha plasmata.
Durante gli anni settanta, quando ero un ragazzo che cresceva a New York, ci battevamo continuamente per migliorare i servizi sociali nel nostro quartiere. Scoraggiato dai molteplici fallimenti e attirato dalle storie sulle attività proibite della rivoluzione cubana, mi feci dare un passaggio su una barca a vela diretta all’Avana per vedere e filmare tutto ciò che era possibile. Eravamo agli albori del video e la nostra rudimentale attrezzatura, unitamente alla scarsa competenza, rispecchiava gli esperimenti della rivoluzione: poca esperienza, poche risorse, ma tanto entusiasmo. Strinsi delle amicizie, delle vere amicizie, e cominciai a seguire le stesse persone nel corso dei decenni. Spesso lavoravo con la mia famiglia. A un’età in cui i ragazzi di oggi sono connessi ai loro schermi, mia figlia mi aiutava a seguire i contadini mentre aravano i campi rossi e sassosi. Insieme abbiamo documentato eventi di immensa importanza storica. Abbiamo anche catturato momenti di sorprendente intimità. Siamo addirittura riusciti a convincere Fidel Castro a scrivere una nota di scuse all’insegnante della scuola superiore di mia figlia, che stava saltando le lezioni perché potessimo chiedere a Fidel come mai l’economia cubana non funzionava. È un film molto personale. Le persone che conoscerete mi hanno invitato a entrare nelle loro vite e mi hanno accettato all’interno delle loro famiglie. Anche Fidel. Mi hanno lasciato testimoniare mezzo secolo della loro storia, delle loro speranze e delle loro battaglie umane. Per me è un onore condividere tutto ciò con voi.
LUNGOMARE MARCONI
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