“Dans ma vie j’ai toujours voulu être moderne”. Con questa frase semplice, chiara e senza alcuna possibilità di fraintendimenti, Pierre Boulez descrisse, nell’incontro col pubblico in occasione del Leone d’Oro consegnatogli nel 2012, il suo modo di vivere e attraversare il proprio tempo come uomo e come artista. Questa concezione del “contemporaneo”, senza alcun abbandono nostalgico a un passato di retroguardia, propone un’idea dell’attuale che, dall’esperienza iconoclasta della Scuola di Darmstadt, si è evoluta negli anni ‘60 verso una creatività orientata alla dimensione percettiva dell’ascolto (“avec laquelle il fallait faire face”) e che oggi abbraccia finalmente anche altre pratiche e generi musicali.
Il programma del 63. Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia continuerà quindi a ispirarsi alla progettualità che ha avuto come obiettivo primario, fino a oggi, una interpretazione del concetto di “contemporaneità” esteso e trasversale. Un concetto che vuole estendere il campo d’indagine e valorizzazione ai molteplici stili della musica di scrittura nonché ad altre istanze della creatività per le quali ricerca e sperimentazione si configurino come aspetti significativi dell’espressione artistica.
Dopo i temi trattati nelle due edizioni precedenti, che riguardavano le relazioni tra musiche e culture del Continente asiatico (2017) e di quello americano (2018) con le esperienze europee di punta, il prossimo Festival si occuperà eminentemente di alcune delle realtà più interessanti (compositori e interpreti) del “Vecchio Continente” il quale resta un punto di riferimento della musica e, in generale, della cultura del nostro tempo. Un continente che non ha cessato di porsi domande cruciali riguardo all’arte e alla sua relazione con il proprio presente e che, ancora oggi, è protagonista di molteplici spinte propulsive che investono gli ambienti artistici di tutto il mondo.
Diversi sono i paesi rappresentati e gli autori le cui opere verranno eseguite in prima mondiale o italiana.
Il Leone d’Oro a George Benjamin è un riconoscimento che ci segnala come e quanto l’opera di un compositore abbia potuto incidere nella storia contemporanea della musica e si affianca a pieno diritto ai grandi maestri cui questo riconoscimento è stato conferito precedentemente: Pierre Boulez, Georges Aperghis, Salvatore Sciarrino, Sofija Gubaidulina, Steve Reich, Tan Dun e Keith Jarrett, tutti personaggi di rilievo assoluto della musica del nostro tempo.
Oltre all’abituale proposta dei grandi maestri saranno presentate opere di giovani talenti emergenti con l’obiettivo di testimoniare il legame esistente tra le diverse generazioni e l’interesse che queste ultime suscitano per gli approcci non convenzionali attenti a coniugare lo spirito del tempo con l’invenzione di nuovi linguaggi. Se, da una parte, la lezione dei grandi autori del nostro tempo si rivela fondamentale, dall’altra le giovani generazioni dimostrano una vitalità che si muove sempre più verso la ricerca di una discontinuità con i modi di pensare e fare musica del recente passato ed anche di larga parte del nostro presente. Di questa vitalità, Matteo Franceschini – Leone d’Argento - è un rappresentante tra i più originali come avremo modo di ascoltare con il suo Songbook che vedrà il battesimo nella serata della sua premiazione
In tale direzione va anche inquadrato il progetto Biennale College - Musica che anche in questa edizione circoscriverà il proprio campo d’azione nell’ambito del teatro musicale rispetto al quale le nuove generazioni sembra abbiano molto da dire. Finora il College Musica ha prodotto ben 15 atti unici (altri 4 saranno prodotti in questa edizione) e alcuni dei giovani che si sono messi particolarmente in evidenza sono stati richiamati nelle edizioni seguenti per progetti nuovi e autonomi. Questa continuità è un motivo di particolare orgoglio da parte del Settore Musica, perché conferma l’efficacia del progetto, così come è stato concepito, e del lavoro svolto finora.
Con la prossima edizione del College Musica farà il suo debutto il CIMM (Centro d’Informatica Musicale e Multimediale) che la Biennale di Venezia ha allestito nell’intento di dare alle proprie produzioni, e non solo, un contributo importante di ricerca e sperimentazione al servizio delle molteplici attività dei vari settori.
Dal punto di vista del pubblico gli sforzi saranno rivolti, come sempre, al coinvolgimento di soggetti che abitualmente non assistono alle tipologie di spettacolo proprie di un’idea di musica contemporanea ormai inattuale. Con l’apertura ad altri generi hanno cominciato a confluire spettatori di diverse provenienze e interessi che, da una parte, ci confortano degli sforzi fatti e dall’altra ci spingono a potenziare l’offerta e a facilitarne l’accesso a un numero sempre maggiore.
L’augurio rimane lo stesso, ovvero che pubblici di differente ispirazione possano incontrarsi e scoprirsi reciprocamente all’interno di una programmazione dall’orizzonte il più ampio possibile.