L’ultimo film/opera video di Diego Marcon, The Parents’ Room (2021), si sviluppa in un loop i cui momenti iniziale e finale sono contrassegnati dall’immagine computerizzata di un merlo che atterra in picchiata su un davanzale innevato. La scena si sposta all’interno di una stanza dove un uomo è seduto sul bordo di un letto sfatto con una donna sdraiata accanto. Sulle note di un coro, l’uomo inizia un monologo che gravita attorno al racconto della propria furia omicida e suicida. Le vittime che fanno il proprio ingresso in scena, una dopo l’altra, sono la moglie, la figlia e il figlio. L’elemento umano che emerge in quest’opera – un aspetto nel quale si potrebbe trovare conforto – è oscurato dall’ombra sinistra di ciò che appare come un agghiacciante aldilà. Il film ricorda l’animazione stop-motion, tuttavia l’artista ottiene questo risultato con l’ausilio di attori reali. Modellando sui loro lineamenti delle protesi sintetiche, Marcon ottiene inquietanti sosia inanimati che, con effetto straniante, sembrano cadaveri più che esseri viventi. Le opere di Marcon, come The Parents’ Room, Monelle (2017) e Ludwig (2018), si addentrano in quella “zona perturbante” in cui l’estremo realismo rappresentativo suscita una reazione emotiva di repulsione e inquietudine. Gestendo ogni elemento del set, dalle luci ai costumi, dal suono al copione, Marcon dà vita a personaggi che fanno accapponare la pelle allo spettatore, suscitando al contempo un senso di avversione e di inquietante familiarità.
Isabella Achenbach