Negli anni Cinquanta, ormai stabile in Messico, Leonora Carrington inventa una serie di stravaganti storie per bambini che, inizialmente dipinte sui muri della stanza da letto dei figli, vengono successivamente radunate in un album privato. Nella versione originale, la raccolta consiste in alcune tavole da disegno su cui, a mano libera e in uno spagnolo stentato, l’artista trascrive nove delle brevi favole utilizzate per addormentare i suoi bambini e ne illustra le vicende con l’aiuto di strampalati e coloratissimi acquerelli. Leche del sueño (Il latte dei sogni) – così Gabriel Weisz, il figlio dell’artista, battezza la raccolta di fiabe – nasconde un immaginario perturbante e, nella sua bizzarra forma verbo-visuale, racconta di creature ibride e mutanti, di bambini che perdono la testa, avvoltoi intrappolati nella gelatina e macchine carnivore. A dispetto dell’apparente infantilismo, le storie di Carrington sono frammenti onirici che, insieme al latte materno, diventano strumenti essenziali per la crescita e lo sviluppo del bambino; mentre l’allattamento precede lo svezzamento fisico del neonato, l’arte diventa il suo nutrimento spirituale e ha il compito di aiutare a sconfiggere le paure o le preoccupazioni della realtà. Come l’opera di Carrington nel suo complesso, i bizzarri racconti di Leche del sueño mostrano un mondo magico in cui la vita è costantemente rivisitata attraverso il prisma dell’immaginazione, e dove ognuno può cambiare, essere trasformato, diventare qualcosa o qualcun altro.
Stefano Mudu