Pittrice autodidatta, figlia di madre austriaca e di padre di origine indigena, Djanira – come preferiva essere chiamata – emerge sulla scena artistica brasiliana negli anni Quaranta. Interessata alla vita quotidiana, alla cultura vernacolare brasiliana, alle rappresentazioni del lavoro e dei lavoratori e alla varietà culturale del Paese, Djanira percorre il Brasile traducendo in dipinti la realtà che insisteva a vedere da vicino. In una dichiarazione del 1976, la pittrice afferma che questa esperienza si è rivelata “più ricca di insegnamenti plastici rispetto alla sterilità di formalismi non sentiti né vissuti”. Nel 1960, si reca nel Maranhão, nel nord-est del Brasile, dove trascorre del tempo con il popolo canela (oggi autodefinitosi timbira). In una rappresentazione del tutto priva di romanticismo, due bambini mostrano le pitture sul loro corpo, mentre le gambe e i piedi si confondono con le radici dell’albero che li sostiene. Quest’opera non solo riflette l’interesse di Djanira per il grafismo indigeno, ma segna l’incontro dell’artista con la propria ascendenza indigena, in parte persa nel processo di miscegenazione, ma sempre rivendicata dall’artista come propria origine.
L’opera di Djanira da Motta e Silva è esposta per la prima volta alla Biennale Arte.
—Isabella Rjeille