Ho capito che questo sarebbe stato un film molto crudo e che sarebbe stato improbabile che chiunque potesse vederlo. Ho condiviso questo pensiero con il co-sceneggiatore, lo scrittore bielorusso Ales Adamovič che mi ha risposto “Allora non facciamolo vedere. È necessario che lo tramandiamo per quando non ci saremo più. Come testamento di guerra, come un appello alla pace.” [...] è un tema importante del film: cosa può diventare una persona quando oltrepassa la soglia della morale, dell’etica? Non si tratta più di atti di guerra, bensì di puro assassinio e brutalità. Tuttavia, dopo avere incontrato e parlato con Adamovič, ho avuto improvvisamente un’illuminazione: la questione era tutta lì, il mio tema, la mia causa sacra. Parlare dell’immensa tragedia che si è abbattuta su un intero popolo, di una guerra che aveva le sembianze stesse dell’inferno. Guardare un uomo in una situazione estrema e chiedersi chi sia e cosa possa arrivare a tollerare. E vedere la forza di quest’uomo, in realtà di un popolo, che è riuscito a sopportare tutto questo.
Da un’intervista a Irina Rubanova, settembre 1985.