In questi tre anni ho voluto evidenziare artisti internazionali da far conoscere al pubblico italiano, e quindi anche agli artisti italiani. Cercando nella programmazione un confronto diretto, una contaminazione capace di arricchire il nostro bagaglio di ricerca.
Il quarto anno diventa per me la valorizzazione del teatro italiano, da far conoscere ad un pubblico internazionale, uscendo dai nomi conosciuti che in qualche modo sono già riusciti ad imporsi all'attenzione degli operatori stranieri, e quindi a entrare nelle leggi di mercato.
Abbiamo cercato di costruire una mappatura di artisti che sono al di fuori di queste leggi e che raramente vengono programmati dai teatri istituzionali, ma che si stanno imponendo all'attenzione della critica e degli operatori; artisti che, soprattutto, stanno costruendosi un loro pubblico, fortemente trasversale e che esce dalla costrizione dell'abbonamento.
Molti artisti invitati sono giovani, alcuni giovanissimi usciti dal College di Regia della Biennale (per valorizzare il percorso fatto in questi anni, che si è preso la responsabilità di provare a lanciare nuovi talenti italiani), altri più grandi ma solo per questioni anagrafiche.
Ho chiesto a tutti gli artisti un incontro e un confronto serio, che responsabilizzi la loro presenza nella Biennale 2020, ma anche che sostenga un pensiero “artistico” di Direzione Artistica.
A tutti gli artisti è stato proposto di lavorare sul tema della CENSURA, cercando di uscire dall'ovvietà di questa proposta per pensarla come valore “alto” da proporre al pubblico e agli operatori, pensando che i teatranti italiani faticano a entrare in un mercato internazionale e che quindi, in qualche modo, vengono censurati, per il solo fatto di essere teatranti italiani.
Di fronte a ciò, il mio lavoro di Direttore Artistico si affida al confronto con gli artisti chiamati a costruire con me una sorta di collettiva di teatro italiano sotto questo tema: Atto quarto – NASCONDI(no).
Ovviamente tutti gli artisti ospitati porteranno in Biennale un debutto, quindi, in qualche modo, si tratta di una Biennale Teatro senza rete, perché la scelta del Direttore non è avvenuta su spettacoli già visti ma sugli incontri e sui contenuti; questo in parte mi libera dal rischio della censura, non avendo visto nessuno dei lavori che verranno ospitati in Biennale. In parte, naturalmente.
Il confronto con gli artisti è costante e continuo e la parola “censura” ha innescato un meccanismo che sta portando tutti gli artisti, lavorando a distanza, a far parte di un unico grande processo creativo che riguarda tutto ciò che viene censurato perché altri ce lo impongono, quello che censuriamo perché siamo noi stessi a imporcelo, anche solo in una normale discussione; inoltre, riguarda tutto quello che decidiamo di non dire, fino a ragionare su tutto ciò che consapevolmente o meno censuriamo perché condizionati dalla società, dalla cultura o dall'educazione, dal nostro ceto sociale o dal politicamente corretto.
A tutti gli artisti è stato chiesto di andare oltre la consuetudine delle programmazioni teatrali, cercando di liberarli dalle leggi di mercato che costringono i produttori, ma anche gli stessi artisti, a censurare le proprie scelte, già nello scegliere un autore piuttosto che un altro, perché consapevoli che il nome di alcuni autori, già su carta, impone una censura, per motivi storici, politici, di fruizione e di presa sul pubblico.
Censuriamo. Perché?
Vogliamo proteggere o semplicemente non siamo in grado di proteggere e quindi censuriamo perché vogliamo proteggerci. Eppure il teatro nasce soprattutto per esorcizzare le nostre paure, non censurare per comprendere e conoscere, sconfiggere ciò che siamo accettandolo.
Il processo creativo ha previsto anche un momento di condivisione tra tutti gli artisti, che sono stati chiamati a confrontarsi con i colleghi prima della Biennale; ciò per farsi contaminare e contaminare gli altri con il loro fare e il loro cercare, per comprendere che tutti stanno mettendo il loro pensiero e il loro talento a servizio di un unico tema. È quasi come se il pubblico fosse chiamato ad assistere a un unico grande spettacolo dal grande titolo: NASCONDI(no), e gli appuntamenti proposti dal Festival e dalla successione degli artisti non fossero che contributi che aggiungono o tolgono domande al tema portante.