Questa è la prima volta, da Presidente della Biennale, che scrivo un breve testo di presentazione e mi fa molto piacere che sia il Teatro a darmi questa occasione perché, assieme ai suoi fratelli Danza e Musica, le tre arti (dello spettacolo) dal vivo, ha forse meno visibilità e risonanza mediatica di quanto ne abbiano Arte, Architettura e Cinema. Ma non ha certo meno importanza, o richiede meno fatica e impegno.
Antonio Latella è approdato a questo Atto Quarto della sua direzione ponendo un forte accento sulla negazione:
NO a nascondere tutto quanto si pensa non corrispondere ai criteri “per decidere cosa far vedere e cosa no”. Ma chi ha stabilito questi criteri, e a quali esigenze, censure, pregiudizi, finalità rendono conto? Antonio Latella parte dalla poca visibilità che gli artisti del teatro italiano contemporaneo hanno nel nostro Paese e fuori. Dare visibilità a chi c’è ma non si vede è un altro grande merito di questo progetto che ha anche un’importante componente formativa. E non è un caso che il Direttore Artistico abbia dedicato molte energie al lavoro del College.
Ma in questa fase ha negato (censurato) il ruolo del formatore mettendosi in gioco alla pari con coloro che ha chiamato a confrontarsi sul tema della censura che “esiste anche se viene abilmente nascosta”. Il confronto ha cancellato la figura del “capo” e da esso sono nate le prime assolute che vedremo sul palcoscenico della Biennale Teatro 2020.
Mi colpisce la mancanza di ideologia che sta dietro al progetto di Antonio Latella. Mi piace che si ponga come un ricercatore che parte da un dato statistico: il teatro italiano contemporaneo si vede poco in patria e quasi per nulla all’estero. Una realtà sgradevole (una riflessione che per molti anni è stata al centro anche del dibattito sul cinema italiano) che non viene NASCOSTA (censurata) ma affrontata con libertà.
Gli artisti sono stati invitati a sperimentare “nuovi prodotti”.
Non dovevano mostrare quello che avevano già dimostrato con il loro lavoro. Dovevano azzerare il passato e cercare il nascosto (soprattutto quello che li abitava) senza appellarsi, appunto, a criteri. E per non mancare un passaggio doveroso ai tempi difficili che stiamo vivendo, sento che questo cercare il nascosto ovunque si nasconda, accomuni il lavoro di Latella all’interrogativo che è il titolo della prossima Biennale Architettura 2021 a cura di Hashim Sarkis, How will we live together?
Segno che i curatori precorrono i tempi, scelgono strade pur non sapendo cosa accadrà domani e anticipano domande e sperimentazioni che possono divenire risposte per quello che verrà. Questo spirito di ricerca deve essere, a mio avviso, la spinta per un dialogo continuo sulle arti contemporanee, essere al centro di tutte le discipline che hanno fatto la storia della Biennale.
Considero la proposta di Antonio Latella una sfida che La Biennale di Venezia deve raccogliere come impegno per il suo prossimo e lontano futuro.