L’artista polacca Aneta Grzeszykowska utilizza il corpo – il proprio e quello di altri – come materiale per mettere in discussione le norme sociali che circondano l’identità e la rappresentazione, in un modo che mette la sua pratica in dialogo con il lavoro di artiste femministe quali Alina Szapocznikow, Ana Mendieta e Cindy Sherman. Nella serie Mama (2018), Grzeszykowska esplora e sovverte il rapporto tra madre e figlia, ritraendo la propria figlia mentre interagisce con una bambola di silicone che assomiglia in modo inquietante all’artista stessa. Le fotografie catturano la bambina che imita e assume un ruolo materno, facendo il bagno e abbracciando la bambola, mentre simultaneamente la tratta come un giocattolo: dipingendo la sua faccia, seppellendola nella sporcizia e portandola in giro su un carretto. Apparendo al contempo come un essere umano affidato alle azioni imprevedibili di una bambina e un semplice oggetto, la bambola rende indistinto il confine tra animato e inanimato. L’affermazione di soggettività, possesso e controllo della bambina sull’oggetto simile a un cadavere – che evoca la figura feticizzata della docile marionetta surrealista che si adegua ai desideri dell’artista – viene qui rettificata nelle complessità del rapporto madre-figlia. La bambola di Grzeszykowska simboleggia una rottura dei vincoli assegnati ai corpi e ai ruoli sociali, riesaminando la maternità attraverso un’esplorazione dell’autoalienazione.
Liv Cuniberti