Quando Anna Coleman Ladd torna a Parigi nel 1917, dopo esservi cresciuta alla fine del secolo precedente, la Francia è stravolta dalla Grande Guerra. Coleman Ladd, che gode di una discreta fama come scultrice neoclassica negli ambienti dell’alta borghesia statunitense, si arruola come volontaria nella Croce rossa. A Parigi, avverte la necessità di gestire l’emergenza dei reduci di guerra – che oltre a tornare dal fronte feriti, mutilati o destinati a una disabilità permanente, sono spesso sfigurati in volto. Venuta a cono- scenza di uno studio londinese che si occupa delle protesi facciali per i soldati inglesi, Coleman Ladd persuade la Croce rossa a fondare un simile dipartimento per la Francia e produce un centinaio di maschere facciali per reduci – numeri sorprendenti se si considera che ogni maschera veniva realizzata artigianalmente e richiedeva circa un mese di preparazione. Un primo calco in gesso basato sulle fotografie precedenti alla guerra veniva utilizzato per realizzare una maschera in lattice e rame o argento, che veniva colorata a olio nel corso di diverse sedute. Lo studio prevedeva anche un trattamento psicologico dei pazienti: spesso considerati mostruosità, i reduci si trovavano a gestire improvvisamente la perdita del loro status prebellico. Ben lontana dall’uso provocante e bizzarro che ne fanno le colleghe e i colleghi avanguardisti negli stessi anni, Coleman Ladd propone le maschere come uno strumento prezioso e dimostra come scienza e arte possano collaborare per un obiettivo comune.
Stefano Mudu