In seguito al violento colpo di stato militare contro Salvador Allende, sostenuto dalla CIA e guidato da Pinochet nei primi anni Settanta, Cecilia Vicuña inizia a creare opere contraddistinte da un chiaro senso di caducità, spesso espresso attraverso lavori astratti ed effimeri realizzati con materiali di recupero. Il 1966 vede l’avvio del progetto, tuttora in corso, che comprende assemblage provvisori e antimonumentali chiamati precarios. Queste sculture sono spesso lasciate intatte, esposte agli agenti atmosferici e alle maree. In nuovi precarios come NAUfraga (2022), composto da corde e detriti raccolti a Venezia, la potenza della politica di opposizione di Vicuña rimane vigorosa. Come suggerisce il titolo che deriva dalle parole latine navis (nave) e frangere (rompere), il lavoro evoca il tragico sfruttamento della Terra che sta lentamente facendo affondare Venezia. I quadri di Vicuña testimoniano il suo debito nei confronti del pensiero indigeno. Leoparda de Ojitos (1977) e La Comegente (1971) si ispirano ai dipinti del XVI secolo realizzati dagli artisti inca di Cuzco, in Perù, che furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e a dipingere e adorare icone religiose spagnole. Nel dipinto dai toni fantastici Leoparda de Ojitos, la felina del titolo è raffigurata in piedi tra due alberi, uno rosa e uno verde, la pelliccia costellata di occhi e i genitali in mostra. Espressione di una metodo- logia decoloniale del ritratto, i dipinti di Vicuña si ribellano alla forma, mettendo al centro l’immaginazione di una donna indigena.
Madeline Weisburg