Louise Lawler si è affermata a New York nei primi anni Ottanta nell’ambito della Pictures Generation: un gruppo di artiste e artisti – tra i quali Cindy Sherman, Richard Prince, Barbara Kruger, Sherrie Levine – che spronava il pubblico a interrogarsi sulla natura stessa dell’arte attraverso l’appropriazione di immagini pubblicitarie, slogan e opere d’arte di ampia diffusione. Lawler è conosciuta per fotografie che catturano particolari di opere così come si presentano nelle case di collezionisti, nei magazzini dei musei o nelle case d’asta. Enfatizzando l’“aspetto esteriore” dell’opera nell’ambiente che la ospita, l’artista rivela anche una visione soggettiva, il dietro le quinte del mondo dell’arte, esponendo ciò che spesso viene celato da austere gallerie di stampo tradizionale. Nei suoi lavori più recenti Lawler inizia a sperimentare tramite effetti digitali, distorcendo e deformando le immagini fino a occupare completamente lo spazio di esposizione. Le opere di Lawler per Il latte dei sogni combinano i numerosi metodi fotografici da lei impiegati in un’installazione a più strati intitolata No Exit (2022). Le fotografie della retrospettiva di Donald Judd al MoMA nel 2020 – scattate a luci spente, dopo la chiusura – sono posizionate direttamente sopra Hair (adjusted to fit) (2005 / 2019 / 2021), un’immagine su vinile che riempie la stanza. Il continuo ritorno di Lawler sulle proprie immagini sfida i presunti significati che attribuiamo all’arte, allo status e alla cultura.
Isabella Achenbach