La pratica multidisciplinare di Sandra Mujinga è motivata da un profondo interesse per il corpo e per la sua assenza. Nelle inquietanti installazioni di quest’artista, figure incappucciate dall’aspetto spettrale e fantastiche creature ibride diventano strumenti di osservazione. Traendo ispirazione dalle strategie di sopravvivenza degli animali, come mimetismo e adattamento notturno, dal concetto di “costruzione di mondi” della fantascienza, dal postumanesimo, e dall’afrofuturismo, l’artista propone un mondo immaginario in cui l’esistenza cibernetica non è necessariamente una minaccia per l’autonomia e in cui, al contrario, l’ibridismo funge da protezione. Mókó, Libwá, Zómi e Nkáma, il quartetto di sculture presentate da Mujinga in un’installazione del 2019, sono corpi privi di sostanza. Vibranti nella luce verde al neon, le quattro figure incappucciate di dimensioni esagerate, il cui titolo è reso nella lingua bantu lingala, sono costituite da mantelli con sembianze umane e hanno lunghi arti di stoffa che evocano tentacoli e proboscidi. Sembrano esseri umanoidi che si sono evoluti per adattarsi alla nostra contemporaneità catastrofica. Rappresentazioni futuristiche di corpi incombono sugli osservatori anche nelle sculture in tulle del 2020 intitolate Míbalé, Mísató, Mínei e Mítáno. Queste figure dalle braccia allungate fanno la guardia con forme selvagge che sono un simbolo di autosufficienza. Le sculture di Reworlding Remains (2021) e Sentinels of Change (2021), realizzate con tessuti riciclati, traggono ispirazione da fossili di dinosauri e occupano uno spazio liminale in cui decadimento e ricostruzione coesistono nella stessa sequenza temporale.
Madeline Weisburg