Nata in una famiglia della media borghesia torinese, Olga Carolina Rama, meglio conosciuta come Carol Rama, si avvicina al disegno da autodidatta e, a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta, inaugura una produzione di acquerelli che utilizza come strumento di guarigione da una vita tormentata. Il suicidio del padre nel 1942, le tensioni politiche e la crisi economica antecedenti allo scoppio della guerra, i bombardamenti, lo sfollamento e il ricovero della madre in una clinica psichiatrica vengono trasformati in immagini potenti, fatte di un segno vibrante e anarchico, che elegge il corpo femminile come la sede delle più provocanti tensioni mentali e fisiche. In Nonna Carolina (1936) l’artista ritrae la donna con il viso sofferente e il collo pieno di sanguisughe, mentre in Appassionata (1941) raffigura la crisi d’identità delle pazienti che vivono con la madre. Nonostante la maggior parte di queste donne sia disorientata ed evidentemente disabile, Rama rappresenta i loro corpi come fossero pervasi da un tale desiderio sessuale da non poter essere controllato neanche quando sono legate. Completamente nude – a eccezione di un paio di scarpe con il tacco – tutte sono impegnate in espliciti momenti di autoerotismo o si uniscono ad altri pazienti mentre sui loro capelli fioriscono piante rigogliose. Con la loro insolente e ingenua spudoratezza, queste donne sono le eroine dell’immaginario di Rama.
Stefano Mudu