Come il resto del gruppo surrealista belga formatosi intorno al noto pittore René Magritte, Jane Graverol ricalca la costruzione di immaginari onirici e concettuali ma, in maniera inedita rispetto ai colleghi uomini, produce composizioni in cui prevale una figura femminile fiera e decisa. Mentre gli esponenti del Surrealismo sono soliti riferirsi alla donna come una musa idealizzata, Graverol propone la rappresentazione di un corpo erotico che assume sembianze animalesche tra il grottesco e il fantastico. Angeli, fenici, draghi e altre creature alate, abitano i suoi lavori pittorici fin dalle prime sperimentazioni ma diventano ricorrenti intorno agli anni Sessanta, quando l’artista avvia nuove sperimentazioni con il collage. La sfinge ne L’École de la Vanité (1967), incarna questa estetica; esasperando l’ambiguità dell’icona mitologica, restituisce l’immagine di una femminilità mostruosa ma consapevole della propria sensualità. Sebbene le sue viscere siano grovigli di ingranaggi meccanici, il viso è delicato e seducente come il fiore che tiene tra le zampe. Senza volerla considerare un difetto, Graverol propone questa vanità come uno strumento essenziale per la donna moderna e individua la direzione dell’emancipazione nei suoi innesti mitologici e tecnologici. La metamorfosi in un corpo ibrido restituisce l’immagine di una figura femminile capace di rendersi fautrice del proprio destino trasformando le sue componenti corporee in potenti armi di riscatto sociale.
Stefano Mudu