Sfuggendo alle categorizzazioni che l’hanno alternativamente ricondotta al Minimalismo americano o all’Arte Povera italiana, a partire dagli anni Sessanta la pratica artistica di Laura Grisi registra l’effetto scenico dei fenomeni naturali e, intrappolandone le qualità in oggetti o ambientazioni tecnologiche, restituisce un’insolita quanto consapevole immagine del progresso. Grazie a una seducente finitura industriale, gli imponenti pilastri della serie intitolata Sunset Light (1967) celebrano l’esperienza visiva del tramon- to fornendone una versione tecnologizzata. Mentre lo scheletro in neon giallo simula il colore caldo dell’atmosfera, proiettando una luce diffusa sul pubblico, i movimenti di quest’ultimo si riflettono sul parallelepipedo in Plexiglas generando delle gradazioni che ricordano quelle della superficie solare. Grisi concepisce questi totem luminosi come elementi in equilibrio tra natura e artificio e calibra le loro caratteristiche illuminotecniche per ottenere atmosfere e sensazioni differenti. Al di là dell’evidente spettacolo percettivo – successivamente ottenuto simulando anche altri fenomeni naturali come pioggia o vento – queste opere di Laura Grisi, con l’ausilio di uno stratagemma meccanico e tecnologico, creano paesaggi reali o figurati che mettono lo spettatore al centro di un’esperienza ambientale e immersiva: il corpo di quest’ultimo si allinea così alla componente naturale o artificiale delle sculture, riconoscendosi in energie di volta in volta fisiche o intime, scientifiche o spirituali.
Stefano Mudu