Nelle oltre cinquecento opere di Maria Bartuszová vediamo la traccia di una natura misteriosa. Negli anni Sessanta, dopo aver lasciato la sua città natale Praga per Košice, l’artista avvia una ricerca delicata e ossessiva che utilizza materiali poveri per confrontarsi con la potenza generativa dei fenomeni naturali. Appendendo dei palloni di plastica a un supporto e riempendoli con colate di gesso, Bartuszová utilizza la forza di gravità per creare delle forme rotondeggianti e astratte che ricordano nidi, semi, uova e, talvolta, parti materne o erotiche del corpo umano. Negli anni Ottanta, definitivamente ispirata dalla natura, produce una serie di sculture ovoidali che simulano la purezza e la deperibilità delle forme organiche. Bartuszová crea gusci sottili e fragili di materiale intero o frammentato, utilizzando una tecnica chiamata pneumatic shaping che non prevede il riempimento dei palloncini, ma il loro rivestimento. Prima che le superfici collassino sotto la pressione del gesso solidificato, l’artista modella il palloncino deformandolo, comprimendolo, stratificandolo e infine legandolo con delle corde. Se questi “organismi viventi”, come li definisce Bartuszová, ricordano inevitabilmente le fattezze di uova o bozzoli già schiusi o pronti a farlo, il loro essere oggetti rotondi, spesso legati e raggruppati insieme, li rende simbolo di un’umanità inclusiva.
Stefano Mudu