Abiti succinti e spesso inesistenti, movimenti sensuali e sfrontati, capelli corti e laccati: sono solo alcuni degli elementi che ricorrono negli spettacoli di Josephine Baker, la cantante e danzatrice americana che, a partire dagli anni Trenta, diventa un simbolo di riscatto per la comunità nera. Dopo una giovinezza trascorsa tra le ostilità del Midwest segregazionista e le prime esibizioni in mediocri compagnie di teatro e vaudeville, Baker si trasferisce a Parigi nel 1925 e, a soli diciannove anni, debutta al Théâtre des Champs-Élysées con un primo spettacolo musicale intitolato Revue nègre. Sul palcoscenico Baker è immersa in un’atmosfera carica di stereotipi riferiti alla cultura africana: vertiginose gonne fatte di banane, palme, maschere, frutti di colori sgargianti e perfino un ghepardo chiamato Chiquita. Nel filmato muto che la ritrae sul palco del famoso music hall parigino Folies Bergère, Baker esegue esuberanti sgambettamenti charleston mentre, a seno nudo, riccamente ingioiellata e vestita con un eccentrico costume di piume smorza la sua sensualità e il suo erotismo con quelle espressioni comiche che, almeno fino agli anni Cinquanta, rimangono la sua caratteristica distintiva. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Baker si rifiuta di esibirsi davanti a un pubblico di soli bianchi, risponde apertamente alle minacce del Ku Klux Klan e partecipa alla Marcia su Washington del 1963 al fianco di Martin Luther King.
Stefano Mudu