Hannah Höch è l’unica artista donna ufficiale all’interno del gruppo Dada berlinese. Benché sottovalutata dai colleghi uomini del movimento – primo fra tutti il com- pagno Raoul Hausmann –, ne approccia i codici visivi con una sensibilità innovativa. I fotomontaggi realizzati negli anni Trenta sono popolati da figure che, anche quando sembrano potenti, sono vittime di una frammentazione. La figura femminile deformata di Deutsches Mädchen (1930) – dove due piccoli occhi sproporzionati e una frangia scura vengono sovrapposti ai delicati lineamenti di una giovane donna –, è tutt’altro che fiera e seducente come vorrebbe il nascente movimento femminista. Höch considera la Neue Frau (Donna nuova) come una moda passeggera. Prelevando le immagini dalle riviste che la celebrano, propone un’identità instabile più affine alla complessità della donna moderna. Lo stesso atteggiamento critico emerge anche dalla serie di Höch Aus einem ethnographischen Museum (1924–1930), dove unendo immagini di corpi alla moda con iconografie riconducibili a varie tradizioni non europee, l’artista ottiene delle figure ibride che sembrano minare la supremazia culturale del potere coloniale. In Der heilige Berg (1927) – in cui due scalatori hanno grandi sculture asiatiche al posto della testa –, Höch dimostra che le sue figure grottesche non sono solamente bizzarre, ma forniscono una singolare, e forse cinica, immagine del progresso.
Stefano Mudu