Nei primi anni Sessanta, Grazia Varisco avvia una ricerca affine alle più internazionali sensibilità cinetico-percettive. Oltre a una spiccata fascinazione per l’estetica industriale e la nascente tecnologia computerizzata, Varisco è fin da subito interessata al rapporto che l’opera instaura con lo spettatore e cerca di attivare il coinvolgimento con stimoli cinetici. Non è un caso che il collettivo a cui l’artista si unisce nel 1960 si chiami Gruppo T (dove T sta per “tempo”) né che gli altri membri – Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele Devecchi – considerino il pubblico un “co-autore” ed espongano i loro lavori con la dicitura “si prega di toccare”. Le Tavole magnetiche (1959–1962) che sanciscono il debutto di Varisco nel collettivo sono delle semplici superfici metalliche, su cui il pubblico può muovere calamite di colori, forme e dimensioni differenti. Varisco concepisce i lavori successivi affinché le loro variazioni formali sollecitino le percezioni di chi le osserva. Già presenti alla Biennale del 1964 e 1986, ad esempio, gli Schemi luminosi variabili (1961–1968) dimostrano il massimo grado di un movimento reale e illusorio. L’intervento congiunto di movimento e luce – alimentato dalla rotazione di un motore interno in Perspex trasparente – fa emergere tagli luminosi dalle superifici plastiche scure che, come un caleidoscopio, cambiano orientamento e si combinano all’infinito producendo illusioni ottiche, interferenze o sovrapposizioni.
Stefano Mudu